Da anni gli economisti si chiedono come faccia l'economia americana ad avere la produttività industriale con tassi costantemente in crescita. Recentemente si era riscontrato un fenomeno mai visto prima: la produttività cresceva anche in periodo di recessione.
In mancanza di altri indizi, si è cominciato ad attribuire i meriti di questa crescita ai massicci investimenti effettuati nella Net Economy o, se preferite, nell'informatizzare la più gran parte della società americana (almeno il 70% della base lavorativa USA - circa 100 milioni di addetti - è definita "information workers", dagli addetti ai customer service fino agli scienziati dei laboratori di ricerca avanzata).
Ma la realtà potrebbe essere ben diversa: uno studio pubblicato dal National Bureau of Economic Research dal titolo "The Measurement of Firm-Specific Organization Capital" (a pagamento) ipotizza che il ruolo della tecnologia per sè sia modesto negli effetti prodotti sugli incrementi di produttività. Il focus dello studio si incentra su ciò che i ricercatori chiamano "organization capital", un nuovo asset aziendale che comprende le procedure e routine interne all'impresa, lo stock di competenza aziendale e conoscenze tecniche nei database dei computer e nella testa dei suoi dipendenti, ed anche la cultura ed i valori che guidano l'operatività dell'impresa. Lo studio (basato su un campione di 250 imprese) afferma che gli investimenti in "organization capital" hanno contato per il 71% della crescita delle vendite.
Quando le "pratiche aziendali", ovvero come si fanno le cose in quell'azienda, sono opportunamente miscelate con investimenti in tecnologie dell'informazione, queste producono i maggiori effetti positivi: per esempio, le società con performance migliori usano più spesso i team di lavoro rispetto ai loro concorrenti. Decentralizzano la qualità delle conoscenze e competenze tecniche (design di prodotto, vendite, ecc.) e centralizzano gli aspetti quantitativi (contabilità e paghe, riduzione dei costi, ecc.).
Insomma, una conferma che le intuizioni sul "fattore umano" nelle organizzazioni già formulate a suo tempo, per esempio dal guru Tom Peters con la teoria dell'Empowerment, hanno un ruolo decisivo e solo amplificato dalla tecnologia.
Due conclusioni (provvisorie):
- la tecnologia sta rapidamente adattandosi a queste esigenze, soprattutto nel campo del software. E' finita l'era dei software monolitici e gerarchici, si impongono soluzioni basate sul modello Internet per la collaborazione tra individui e team di lavoro. John Seely Brown (ex capo dello Xerox Palo Alto Research Center - PARC) rispolvera il concetto del "social software" come instant messaging, weblogs, le comunità Wiki Wiki, e gli strumenti basati sul peer-to-peer, tutti orientati alla collaborazione in tempo reale via Internet;
- se il vantaggio dell'economia USA risiede nel fattore umano combinato con l'high tech, il recupero dello svantaggio per noi europei e, soprattutto italiani, si fa critico. In Italia, gli scarsi investimenti in formazione combinati con gli appena sufficienti investimenti in tecnologia rischiano di allargare anzichè colmare il divario. E ancora non si intravede un'inversione della tendenza.
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Technology and Worker Efficiency. Researchers seem confident that technology has made American workers more efficient. Now some think they even know why. By Steve Lohr.
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